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Il “Burnout Empatico” nelle personalità post-traumatiche

Noi sentiamo con la mente o con le viscere?

In un mio e-book suggerivo che secondo un’impostazione teorica più recente “siamo quello che sentiamo” più che quello che pensiamo, soprattutto se non abbiamo sviluppato abilità adeguate per comprendere ed elaborare gli stati emotivi nostri e altrui.

Libro siamo ciò che sentiamo

Scopriamo come funziona il Burnout Empatico nelle Personalità Post-Traumatiche

L’empatia è la capacità di comprendere e condividere i sentimenti, le emozioni e le esperienze di un’altra persona, mantenendo comunque una distinzione tra sé e l’altro.

Essere empatico significa quindi, “mettersi nei panni dell’altro” percependo le sue emozioni e i suoi pensieri mantenendoli però distinti dai propri ed implica aver precedentemente sviluppato sia capacità relazionali che cognitivo-razionali; in sintesi occorre una “buona teoria della mente”.

La Teoria della Mente consente di mettersi “nei panni” degli altri, riconoscendo che ognuno può avere una prospettiva soggettiva e unica. Questa capacità si sviluppa durante l’infanzia, generalmente tra i 3 e i 5 anni, e ha un ruolo cruciale nelle dinamiche sociali, nell’empatia e nella comunicazione.

L’empatia cosi spiegata, implica quindi il coinvolgimento sia del “cuore” che del “cervello”.

  1. Empatia cognitiva: capacità di comprendere il punto di vista, le emozioni e le esperienze di un’altra persona in modo razionale, senza necessariamente coinvolgimento emotivo diretto.
  2. Empatia emotiva (o affettiva): capacità di sentire e risuonare con le emozioni dell’altro, percependo in modo immediato ciò che l’altra persona sta provando. È una forma di condivisione emotiva che può portare a una forte connessione interpersonale.

La Teoria della Mente (Theory of Mind, ToM) è la capacità cognitiva di comprendere che gli altri hanno pensieri, credenze, desideri, emozioni e intenzioni che possono essere diversi dai propri. Questa abilità permette di prevedere e interpretare il comportamento degli altri, facilitando la comprensione delle interazioni sociali.

Il gruppo di Rizzolatti e Gallese ha formulato la teoria dei neuroni specchio, secondo cui l’empatia nasce da un processo di simulazione incarnata che precede l’elaborazione cognitiva. A livello neurobiologico, la comprensione della mente e dei vissuti dell’altro è sostenuta da una particolare classe di neuroni, definiti neuroni specchio: partecipare come testimoni ad azioni, sensazioni ed emozioni di altri individui attiva le stesse aree cerebrali di norma coinvolte nello svolgimento in prima persona delle stesse azioni e nella percezione delle stesse sensazioni ed emozioni.

empatia

Alla base dell’empatia ci sarebbe un processo di ‘simulazione incarnata’, vale a dire un meccanismo di natura essenzialmente motoria, molto antico dal punto di vista dell’evoluzione umana, caratterizzato da neuroni che agirebbero immediatamente prima di ogni elaborazione più propriamente cognitiva. (fonte: https://www.stateofmind.it/empatia/).

A mio parere, il vero empatico sente con le viscere, ma se è ancora immaturo, manca di strumenti cognitivi per elaborare quelle informazioni somatiche. Viceversa chi possiede abilità cognitive adeguate non è detto che manifesti vera empatia, ossia che abbini un’emozione alla valutazione razionale.

In altri casi, scambiamo gli ipersensibili irritabili o fobici per empatici, perché hanno reazioni immediate a determinate situazioni. L’empatia matura però, implica la fusione di queste due funzioni oltre all’esperienza necessaria per  imparare a gestirle.

Chi si avvale di “empatia cognitiva” invece, manca di contatto con i propri visceri e nei casi più gravi manifesta una vera assenza di attivazione delle aree emotive associate all’elaborazione delle informazioni.

Lowen, a tal riguardo, considerava il narcisismo soprattutto la negazione dei sentimenti, una scissione mente corpo, mentre altri autori si concentrano appunto, sul mancato sviluppo di determinate aree del cervello deputate all’empatia.

Essere empatico significa “sentire profondamente” e riuscire a mettere in correlazione come noi ci sentiamo, con come l’altro potrebbe sentirsi in quella data situazione sulla base della sua unicità e soggettività, riconoscendo cioè una separazione tra me e l’altro.

La sfida nasce quando le esperienze dolorose o emotivamente intense che condividiamo con qualcuno diventano “troppe” e si raggiunge uno stato di burnout emotivo.

Imparare a gestire la propria capacità empatica significa riconoscere i segnali che precedono l’esaurimento emotivo e la valutazione dei motivi per cui è accaduto, come anche imparare a mettere dei confini.

Se ti interessa leggi questo articolo sui confini

I confini non sono muri, sono porte. Non sono “blocchi o ostacoli alla naturale espressione emotiva”, ma porte attraverso le quali gestire la naturale espressione emotiva.

Se imparate questo, imparate anche a distinguere una persona disregolata emotivamente da una persona emotiva e sensibile.

Gli empatici immaturi, che possono essere persone giovani e dotate di una sensibilità ancora grezza o persona adulte con un trauma, non hanno ancora imparato a mettere dei confini sani ossia né troppo presenti, né assenti.

I motivi sono quindi due: il primo è che “provare un’emozione” o trovarsi in situazioni emotivamente stressanti è un trigger per il ricordo di esperienze dolorose, scioccanti, già vissute. L’empatia quindi è un pericolo, un rischio per queste persone che si distaccano da tutto ciò che sollecita in loro una reazione emotiva.

In altri casi la personalità post-traumatica non ha imparato a mettere dei confini, perché è abituata a fare da “medium emotivo” per i suoi familiari e non riesce più a riconoscere le sue esigenze emotive, fisiologiche ed affettive (è come se avesse un termometro interno starato).

È come avere un cuore che sente tutto amplificato da un cervello che a volte non riesce a gestire il volume.

Il burnout emotivo nelle personalità post-traumatiche implica in entrambe i casi, il passaggio a uno stato di freezing o di blocco neuro-vegetativo.

Capire l’ipersensibilità emotiva nelle personalità post-traumatiche è fondamentale; secondo il dottor Bessel Van Der Kolk, i sopravvissuti al trauma spesso sperimentano un’ipersensibilità alle emozioni ed è anche il motivo per cui  – a mio parere – gli evitanti temono profondamente gli empatici o in generale le persone emotive, ma ne sono inconsciamente attratti e viceversa.

Sono due termometri complementari, che si auto-bilanciano?

La comunicazione umana non avviene solo attraverso le aree cognitive, ma anche viscerali emotive.

Per questo molti autori esperti in neuroscienze suggeriscono, anche per le terapia lavori sul recupero della capacità di auto-regolazione emotiva attarverso la comunicazione “cervello-cervello”.

Siegel sostiene che gli esseri umani si connettono profondamente a livello non verbale attraverso quella che chiama comunicazione cervello a cervello, in cui le interazioni tra le persone influenzano direttamente l’attività neurologica. Secondo lui, questo tipo di comunicazione avviene principalmente tra i lobi prefrontali e le aree del cervello che regolano le emozioni e l’attenzione, in particolare il cervello destro che è responsabile dell’elaborazione delle emozioni, delle sensazioni corporee e delle relazioni sociali. Nelle interazioni empatiche, è particolarmente attivo nel decodificare segnali emotivi non verbali come espressioni facciali, tono di voce e linguaggio del corpo.

Anche gli studi di Porges sulla connessione tra nervo vago ed emozioni è interessante

L’empatia si sviluppa principalmente quando siamo in uno stato di sicurezza e calma, condizione facilitata dall’attivazione del sistema ventro-vagale. Quando questo sistema è attivo, ci sentiamo rilassati, aperti alla connessione sociale e in grado di cogliere le emozioni degli altri senza sentirci sopraffatti.

Porges spiega che l’empatia è radicata nella capacità del nostro sistema nervoso di percepire segnali di sicurezza negli altri attraverso la comunicazione sociale, che include il tono della voce, l’espressione facciale e il contatto visivo. Quando il sistema ventro-vagale è attivo, possiamo:

  • Interpretare correttamente le emozioni degli altri.
  • Sentirci connessi e coinvolti emotivamente.
  • Regolare le nostre risposte emotive senza reagire in modo eccessivo o entrare in uno stato di stress.

L’empatia è quindi una funzione fondamentale per le relazioni umane, è possibile mimarla, fingerla, ma alla lunga i comportamenti disadattivi sul versante empatico, vengono a galla è il caso dei narcisisti patologici maligni e degli psicopatici.

L’ipotesi dell’assenza di aree empatiche nel cervello dei narcisisti patologici e psicopatici suggerisce che queste persone possano avere una disfunzione nelle aree cerebrali legate all’empatia, come la corteccia prefrontale e l’insula anteriore. Studi di neuroimaging indicano che in queste condizioni, la capacità di riconoscere o rispondere emotivamente ai sentimenti degli altri è significativamente compromessa, portando a un’emotività ridotta e comportamenti freddi, manipolatori o insensibili verso il prossimo.

Riuscire a distinguere tra empatia cognitiva o affettiva matura, immatura e/o post-traumatica è la base per comprendere chi hai davanti.

E tu che livello empatico hai?

Il “Burnout Empatico” nelle personalità post-traumatiche

Il “Burnout Empatico” nelle personalità post-traumatiche

Dott.ssa Silvia Michelini