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Quando un individuo vive una condizione cronica di grave minaccia nel corso dello sviluppo (o traumatizzazione cronica), alcune funzioni della mente si strutturano secondo una modalità “disorganizzazione”;, inizialmente funzionale a fronteggiare la situazione stressogena, ma che reiterata nel tempo determina una alterazione pervasiva e stabile della personalità.
Nicola Lalli (2005) parlava a tal riguardo di “personalità post-traumatica” (per chi volesse approfondire la mia tesi sul trauma èdisponibile su tesi online).
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La lettura scientifica più recente, evidenzia come e i disturbi e i sintomi dissociativi siano correlati alle esperienze traumatiche, in particolar modo a quelle di tipo relazionale, che avvengono durante l’infanzia (0-3 anni) e per le quali è stato proposto l’uso dell’espressione trauma dello sviluppo o sviluppo traumatico
(Carlson 2009; Herman 1992; Lanius 2010; Liotti e Farina 2011; van der Kolk 2005).

La co-dipendenza è la tendenza a sviluppare una profonda dipendenza affettiva in un legame disfunzionale in cui entrambe i partner presentano una dinamica di collusione traumatica complementare.
Le due persone sono cosi fuse nel legame simbiotico-traumatico-
complementare da non riuscire a stare separate, ma nello stesso
tempo la reciproca vicinanza genera dolore; sembra quasi che
questi due sistemi non riescano più a funzionare in modo
indipendente e a recuperare o sviluppare autonomia affettiva.
Il primo sintomo della co-dipendenza è la sensazione di essere il
“termometro umorale dell’altro”, la tua serenità dipende da come

1 https://www.tesionline.it/tesi/psicologia/Il-trauma-in-psicoanalisi%3A-meccanismi-di-difesa-implicati-nelle-nevrosi-post-traumatiche-e-conseguenze-del-trauma-sulla-personalit%C3%A0/30241

si sente, si rapporta o ti vede l’altra persona; le sue opinioni sono
talmente importanti da mettere in crisi il tuo sistema di valori in virtu’
dell’accettazione da parte del partner.
Quel partner rappresenta l’autorità genitoriale (esterna da te, ma
che tu proietti sull’altro) e che deve darti il suo benestare, nonché
sfatare i tuoi dubbi e soprattutto riparare alle ferite emotive del tuo
bambino interiore; queste aspettative irrealistico-infantili sono molto
comuni in entrambe i co-dipendenti, sia quelli più tendenti al
contatto ossessivo con l’altro che quelli “contro-dipendenti” o
evitanti.
In una relazione di co-dipendenza, ma anche nelle altre perché una
parte di co-dipendenza è naturale in ogni legame, di solito c’è una
personalità più passiva (energia covert/yin), che si aggancia a
un’altra più attiva e dominante che generalmente prende le
decisioni per la coppia e nei casi di disfunzionalità anche per l’altro.
“I sintomi della co-dipendenza sono anche quelli associati
“all’eccesso di cura e preoccupazione per le persone e le cose al di
fuori di noi stessi” (Sharon Wegscheider-Cruse).
Il cervello “traumatizzato”
Il cervello traumatizzato è un cervello che è stato colpito da un
trauma significativo (adulto o infantile).
La caratteristica principale del cervello colpito dal trauma è
un’alterazione della funzionalità dei lobi temporali.
Un cervello sano è in grado di regolare le emozioni e altre funzioni
utilizzando i lobi temporali, mentre un cervello traumatizzato si
“fissa” in modalità difensiva e si predispone per proteggersi e
garantirsi la “massima sicurezza”, quella sicurezza che ha sentito di
perdere e che gli è mancata a causa del trauma.
Il trauma si riattiva quando il soggetto sperimenta un trigger
(emotivo o dell’ambiente) che gli ricorda l’evento traumatico ed
innesca varie modificazioni nel cervello, attivando risposte difensive
come l’attacco/fuga, il freezing, l’evitamento, etc; il sistema nervoso

parasimpatico risponde con il blocco dei processi decisionali
(incapacità di prendere decisioni razionali) accompagnato da un
senso di stordimento e/o dissociazione.
Il cervello traumatizzato è un cervello co-dipendente perché la co-
dipendenza è un modo “per sfuggire alla propria realtà” che
possiamo quindi considerare un aspetto della dissociazione.
Il co-dipendente crea internamente un’immagine idealizzata del
rapporto a due (fusionale, perfetto…) sviluppando
contemporaneamente delle aspettative irrealistiche sulla relazione,
basate sul desiderio inconscio di riscatto affettivo infantile (essere
amato, curato, compreso in modo incondizionato).
Le aspettative irrealistiche generano intensa frustrazione e il co-
dipendente per sentirsi “al sicuro” cerca di controllare la relazione
(sia per non soffrire che scongiurare un simbolico abbandono)
attraverso tutta una serie di prove che di fatto ripetono solo il
trauma.
La coazione a ripetere ha la funzione inconscia di “superare il
trauma”, come se si allenasse a ricrearlo (nella relazione con chi
collude col co-dipendente adottando condotte complementari) al
fine di sentirsi oggi più forti e meno inermi di un tempo…
Il problema è che tali condotte e relazioni sabotano la possibilità di
sperimentare una serenità relazionale e con essa la possibilità di
allenare il cervello a funzionare in modo meno caotico.
Di fatto nel tentativo di superare il trauma lo si ripete e ci si fissa
ossessivamente su di esso rinforzando paradossalmente le sinapsi
sbagliate e cioè quelle associate al trauma stesso.
Affrontare il trauma può essere spaventoso, doloroso e
potenzialmente RI traumatizzante, quindi è meglio intraprendere
questo lavoro con un terapeuta esperto nel trauma complesso e nel
momento in cui ci si sente pronti.
La qualità della relazione terapeutica è fondamentale al fine di
sperimentare un luogo sicuro e una sorta di ri-genitorializzazione, utile a generare un genitore internalizzato protettivo e sano che può intervenire quando il trauma si riaffaccia.


Regole fondamentali per tutti coloro che fanno i conti con il trauma
relazionale:

  1. Stabilire i confini
    Chi cresce nei sistemi familiari disorganizzati, pericolosi o caotici
    cresce in un ambiente in cui i confini sono regolarmente violati; ciò
    può portare il soggetto traumatizzato a temere la disapprovazione o
    la rabbia altrui qualora dica NO.
    Non ci è stato mai concesso di poter dire “NO” e oggi, quando lo
    facciamo, proviamo senso di colpa e vergogna.. arrivando a
    chiedere scusa persino per i nostri bisogni ed esigenze primarie.
  2. Mindfulness e stile di vita Per fare fronte all’ipersensibilità post-traumatica è opportuno dormire regolarmente, evitare troppo alcol o altre droghe, seguire una dieta ben bilanciata e cercare di implementare tecniche di rilassamento per ridurre lo stress. Gli esercizi di Mindullness, specialmente quelli di “grounding” (radicamento) sono utili per chi si sente soverchiato da pensieri ed emozioni e/o ricordi angoscianti. Puoi trovare alcuni ottimi esercizi nel mio e-book: Siamo ciò che “sentiamo”: Come superare ansia, attacchi di panico, paure e pensieri ossessivi attraverso la consapevolezza emotiva https://www.kobo.com/it/it/ebook/siamo-cio-che-sentiamo 
  3. Esercizio fisico. Il trauma sconvolge l’omeostasi corporea, fissandosi su una condizione di paura e sensazione costante di doversi difendere. La consapevolezza corporea è di grande aiuto nel recupero dell’equilibrio psico-fisico e nel superamento degli stati dissociativi. Prova ad allenarti per 30 minuti o più il più spesso possibile. Lo yoga, l’escursionismo, la camminata o la respirazione nella natura possono essere molto utili poiché aggiungono un livello di consapevolezza al tuo regime di esercizi.
  4. Evita l’isolamento sociale. Non devi necessariamente parlare del tuo trauma o esso sarà sempre presente nelle conversazioni con gli amici, anche quando vuoi distrarti, ma se senti di non farcela, chiedi supporto. Rapportati sempre con le persone che non ti giudicano, ad esempio i vecchi amici, oppure potresti unirti a un gruppo di amicizie nuove e/o partecipare a un’ attività di gruppo ( palestra, escursioni, passeggiate, ma anche una cena, un una festa etc.

Dottoressa Silvia Michelini