RED FLAG: Sembra amore, ma poi ti destabilizza?
Ecco i segnali di un partner immaturo, da non sottovalutare mai.

- Non ha fatto terapia, non la vuole fare, o ne parla con superiorità: dopo pochi mesi o
settimane idilliache e/o semplicemente “tranquille”, emergono alcune difficoltà relazionali; il
tuo partner le riconosce, almeno nei discorsi, ma le utilizza come “confine” o
giustificazione per alcuni suoi comportamenti che di fatto restano immutati. Se il tuo
potenziale partner non affronta o non è disposto ad affrontare i suoi traumi o lavorare su
se stesso, la responsabilità della relazione cade solo su di te. Questo atteggiamento è
manipolativo, perché dà origine ad una dinamica asimmetrica, dove uno dei due si prende
carico anche di ciò che l’altro rifiuta di guardare. Si instaura una delega implicita: è l’altro
che deve comprendere, aspettare, adattarsi, sempre secondo tempi e modalità dettate dal
livello di funzionamento di chi non desidera mettersi in discussione. Ma non è il partner
sano che deve adattarsi a quello disfunzionale: è chi ha un nodo irrisolto a doversene
prendere la responsabilità. - Usa il silenzio come risposta o come punizione: Se non parla quando serve, è perché non vuole responsabilità sul tuo dolore. Il silenzio, in questi casi, non è neutralità, ma una forma di controllo emotivo. È un modo per evitare il confronto e lasciare che l’altro siconsumi nell’incertezza. Il tuo stato mentale, la tua sofferenza eventuale, anche se dichiarata non cambiano le sue modalità di un passo. Chiede quindi scusa magari, ma poi di fatto fa quello che sente nel suo automatismo difensivo. Spesso, chi usa il silenzio così sa perfettamente l’effetto che provoca: lo utilizza per proteggersi, ma anche per far sentire l’altro piccolo, sbagliato o in colpa oppure semplicemente non vede l’altro, se ne disinteressa se sente di doversi ritirare.
- Ti fa sentire “troppo”: troppo intensa, troppo analitica, troppo sensibile: se la
persona che frequenti attribuisce sempre alla tua eccessiva energia o ricerca di vicinanza i
suoi allontanamenti o crisi, fai attenzione. Sta cercando un bambolotto da utilizzare
quando si sente a proprio agio o tranquillo o una persona vera e propria? Se da un’analisi
del tuo comportamento non emerge un eccessivo attaccamento morboso, una ricerca
spasmodica di conferme, quel TROPPO in realtà è l’entità del MINUS dell’altro. L’altro
intende controllare la vitalità del partner, perché ha lui o lei dei problemi con essa, con la
gioia, col coinvolgimento attivo. - Ti desidera e riesce a manifestarlo solo quando sei lontano, misterioso o
emotivamente distaccato: non si nutre del legame autentico, ma dell’illusione dell’altro
che sfugge. Quando sei presente e affettuoso, il suo interesse cala; quando ti ritrai,
riappare desideroso. Ama inseguire, ma non condividere. L’intimità reale lo mette a
disagio: preferisce rincorrere un’ombra piuttosto che costruire qualcosa di stabile. Lo
schema che ti propone parla di amore solo a parole, ma nei fatti è diverso ed emergono
chiaramente insicurezza e paura della vicinanza emotiva. - Sparisce dopo momenti di vicinanza emotiva o sessuale: Dopo aver condiviso
qualcosa di autentico, segue un allontanamento improvviso. L’intimità viene vissuta non come nutrimento, ma come esposizione a un potenziale pericolo. La vulnerabilità viene fraintesa con la debolezza, e ciò che dovrebbe creare legame viene invece percepito come minaccia al controllo di se stessi. Sembra che il partner abbia paura di essere fagocitato dal tuo amore, non nutrito o scaldato. Questo meccanismo di fuga è spesso automatico: è una difesa contro la paura di perdersi nell’altro o di non sapere come gestire un contatto profondo e stabile. - Non ti vuole vedere, ma ti scrive sempre: Il corpo è assente, ma la parola resta come
filo sottile che non si spezza. È un modo per mantenere un controllo invisibile, per
ricordarti che c’è — anche se non c’è davvero. Questo contatto minimo, ambiguo, non è
affetto né distanza vera: è possesso simbolico, un modo per non lasciarti andare, pur non
sapendo accoglierti. Non vuole perderti, ma nemmeno vivere una relazione autentica.
Questo io lo chiamo “controllo privo di affetto” : è una forma di legame che immobilizza. - Ti tratta con freddezza, ma non chiude la relazione: un giorno sei speciale, accolto con
calore, attenzioni e parole affettuose, pochi giorni dopo, la comunicazione si svuota:
sembra rivolgersi a un conoscente occasionale, con toni distaccati e formali, quasi per
dovere. Questo sbalzo emotivo crea confusione, instabilità e ti tiene in sospeso. Non c'è
chiarezza, ma nemmeno una chiusura. È un legame fatto di ambiguità: non abbastanza
presente da costruire, né abbastanza assente da lasciarti andare davvero. Vuole che tu
chiuda al posto suo? Verrebbe da pensarlo, ma appena uscite allo scoperto dichiarandolo
l’altro vi dice che non è così, che si è allontanato solo perché si sentiva soffocare dalle
vostre richieste, ma che se “state li tranquille/i”, lui/lei può tornare ad essere come prima.
Tra le righe “io da solo gestisco tempi, intensità, ritmo, ruoli e modalità della relazione” Tu
stai li, devi essere sempre una conferma stabile. Io no. - Parla solo dell’ex, dei suoi dolori, delle sue crisi: Il centro della conversazione è
sempre altrove — nel passato, nel proprio malessere, nei traumi non elaborati. Tu diventi
un interlocutore passivo, presente solo per ascoltare, contenere, rassicurare. Ogni tanto
arriva un complimento, un gesto di apparente attenzione, giusto quanto basta per non
spezzare il legame. Ma nella sostanza, il dialogo è sbilanciato: tu accogli, l’altro scarica.
Se parli troppo, l’altro sparisce si sente “appesantito”. La relazione diventa un monologo
emotivo travestito da scambio, dove il tuo spazio è concesso solo a intermittenza. Tu sei
un contenitore, non un soggetto. E lui/lei è emotivamente altrove. - Dice “non sono pronto”, ma intanto resta: non vuole andarsene davvero, ma nemmeno
prendere posizione. Usa la scusa della non-prontezza come scudo, ma continua a nutrirsi
della tua presenza affettiva, delle tue attenzioni, della sicurezza che gli offri. È un legame a
senso unico: tu investi, l’altro assorbe. Non c’è reale intenzione di costruire, solo il bisogno
di mantenere un punto di appoggio stabile. Così resti bloccato in un eterno limbo emotivo,
dove la speranza tiene in piedi qualcosa che, nei fatti, non si muove mai davvero. - Ti fa complimenti freddi e distaccati e inserisce critiche dissonanti, ma costanti
seppur minime: le sue parole su di te suonano sempre corrette, educate e lui/lei sembra
stimarti, ammirarti, ma tu senti che mancano di calore e profondità. Ti riconosce qualità
“esterne” — come se stesse parlando di un progetto, non una persona. Poi, quasi senza
preavviso, lancia una critica che stona, come se servisse a ridimensionarti o a creare distanza. Non si espone mai davvero: resta in superficie, mantiene il controllo e protegge il proprio distacco emotivo. Non ti tocca davvero, anche quando sembra farlo. - A letto ha parecchi limiti, blocchi o vuole “comandare”: la sfera sessuale è spesso lo specchio più sincero della dinamica relazionale. Se il partner mostra forti inibizioni, rigidità non elaborate, oppure un bisogno costante di controllo — anche in modo sottile — è un segnale da non ignorare. Il sesso, in una relazione sana, è uno spazio di intimità, ascolto e reciprocità, non un terreno di potere o una zona off-limits. Quando l’altro impone ritmi, modalità o evita del tutto il confronto su ciò che non funziona, spesso non è solo un “problema di letto”, ma il sintomo di qualcosa di più profondo: insicurezza, immaturità, oppure un bisogno manipolatorio di mantenere il controllo anche lì dove dovrebbe esserci vulnerabilità.

Ricorda: non sei tu a doverti adattare a una sessualità spenta, meccanica o sbilanciata.
Dottoressa Silvia Michelini
Molto utile come articolo